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SUNILA MOMONECO SEMINAR 16 agosto 2003

Seminario Internazionale
TERRITORIO - FABBRICA -ABITAZIONE

Politiche di valorizzazione degli insediamenti industriali moderni in Europa

I giovani monumenti in Italia: identità e tutela
Cristiana Marcosano Dell'Erba
architetto PhD, DOCOMOMO Italia onlus

I parte

La ricerca di un'identità

Dal dopoguerra ad oggi, possiamo rilevare che in Italia è andato progressivamente ampliandosi, a livello collettivo, il riconoscimento di valore delle architetture del secolo XX appena trascorso.

Ne nostro Paese l'architettura moderna ha costituito per lungo tempo un lascito doloroso. Il suo apprezzamento è di fatto giunto in ritardo rispetto ad altre realtà nazionali e, di conseguenza, ugualmente in ritardo è maturata l'istanza della loro tutela.

I motivi sono molteplici e di natura diversa.

Innanzi tutto è probabilmente la smisurata estensione del nostro patrimonio architettonico ad aver rimandato un'azione che si sarebbe altrimenti potuta espletare estendendo la salvaguardia a realizzazioni anche più recenti, sino a quelle del secondo Dopoguerra.

D'altra parte gli stessi strumenti legislativi continuano a mantenere distante la soglia per l'apposizione del vincolo monumentale.

L'odierna legge che disciplina la materia della tutela dei Beni culturali e ambientali (il Testo Unico emanato con D. Leg.vo n. 490 del 29.10.1999), facendo riferimento ad una nozione di documento/ monumento che forse andrebbe oggi discussa e aggiornata, consente unicamente la tutela di quelle "opere di autori non viventi o la cui esecuzione risalga ad oltre cinquanta anni".

In ragione di questa legge (e prima della 1089 del '39), per quelle che sono le mie conoscenze, è stata la Sovrintendenza di Milano la prima ad attivarsi per la tutela dell'architettura del XX secolo: a partire dalla fine degli anni Cinquanta comincia a vincolare edifici Liberty, come Palazzo Castiglioni, del 1900-1904, di Sommaruga e poi dalla metà degli anni Ottanta, edifici razionalisti, come la Casa del fascio a Como, (tutelata con lo strumento della 633/ 1941 già nel 1956 a soli dalla sua edificazione ), la Casa Rustici, la Torre del Parco Sempione di Ponti, la casa Figini, la casa Wassermann di Portaluppi.

Sarebbe a questo punto auspicabile un censimento dei vincoli apposti da tutte le soprintendenze sul territorio nazionale per capire quanto si sia spinta avanti oggi l'attività di tutela sul patrimonio recente riflettendo sul fatto che tutti gli immobili di proprietà pubblica (che ad oggi rispondono ai requisiti del D.Lgs. 490/1999) possono essere suscettibili di vincolo anche senza notifica (secondo l'art. 5 del medesimo decreto).

L'altra legge con la quale l'azione di protezione può essere applicata ed estesa alle opere contemporanee - pur non trattandosi delle stesse condizioni del vincolo monumentale - è la 633 del 22/04/1941, quella sulla "Protezione del diritto d'autore e di altri diritti connessi al suo esercizio".

Questa legge, sino ad oggi, è stata applicata in soli sei casi, che vale la pena qui ricordare:

1. la Casa Cicogna alle Zattere di Gardella, del1957-58, tutelata con decreto del 6.3.1995;

2. il Grattacielo Pirelli di Ponti, del 1956-61, tutelato con decreto del 22.04.1995;

3. l'istituto Marchiondi-Spagliardi a Milanodi Viganò, del 1953-57, tutelato con decreto del30.10.1995;

4. il Negozio di Gavina a Bologna di Scarpa, del 1961-63, tutelato con decreto del 24.04.1997;

5. l'Auditorium Paganini a Parma di Piano, inaugurato nel 2001 come recupero dello zuccherificio Eridania, e dichiarato di interesse con decreto del 23.12.2002;

6. la Chiesa Mater Misericordia a Baranzate di Mangiarotti e Morassutti, del 1957, tutelata con decreto del 13.01.2003.

Oltre all'impossibilità legislativa di tutela, sancita dalla nostra normativa, ha pesato nell'immediato dopoguerra su molti degli edifici costruiti nel periodo tra le due guerre, una sorta di damnatio memoriae che solo in anni recenti, la distanza storica dagli eventi legati alla dittatura fascista ha affievolito.

Distribuiti uniformemente nel Paese, le Case del Fascio (Fascist headquarters), le case della Gioventù Italiana del Littorio (Fascist Youth Movement building), i dispensari antitubercolari (anti-tubercolosis buildings) e le colonie per l'Infanzia (holiday colonies), hanno rappresentato, per lungo tempo e agli occhi dei più, l'impronta indelebile del regime sul territorio, così come le stesse città di fondazione (new towns), e ancora i palazzi postali e le stazioni ferroviarie.

Sebbene opera di alcuni tra i più importanti interpreti dell'architettura moderna, sono state deliberatamente consegnate all'oblio, o orrendamente alterate o cancellate per sempre.

Di fatto, sono queste le opere, che, nella loro ampia varietà di temi e di espressioni, formano la gran parte del corpus dell'eredità moderna in Italia: un patrimonio che si pone in continuità con la tradizione, il cui valore distintivo è risposto nella intrinseca qualità di monumento. Una specificità che deriva dalla costante attenzione degli autori verso la città, come luogo di sedimentazione e stratificazione di eventi, verso "il suo valore di memoria, la lezione dei suoi monumenti".

Ugualmente l'analisi della natura costruttiva degli edifici - che solo in questi anni si conduce in maniera sistematica negli interventi di restauro- rivela in più di un caso, una fabbrica dalla peculiare caratteristica di costituire un ibrido, l'esito di una tradizione costruttiva cui si sovrappone talvolta, con fatica, il dettato dell'innovazione. Un'essenza forse unica nel panorama del moderno, generata dall'arretratezza del contesto produttivo, e in particolare, alla fine degli anni trenta, da una condizione imposta dal regime autarchico sull'uso di materiali come il ferro e il cemento.

A oggi il "caso italiano" è stato ampliamente rivisitato e con circospezione sono stati ricostruiti i rapporti tra il contesto, le diverse arti, e la politica; così come ben sappiamo che grandi passi ha fatto l'attività di documentazione, fondamento della conoscenza, grazie alla sistematizzazione delle fonti archivistiche, pubbliche e private.

Contemporaneamente il vasto programma di mostre ha provveduto ad avvicinare anche il grande pubblico alla stagione del moderno e a farne apprezzare la qualità aldilà dell'età.

Tra gli addetti ai lavori, le occasioni di dibattito hanno approfondito l'attenzione verso i giovani monumenti ed ha acquistato forza l'urgenza della loro conservazione.

In questa direzione è stata trainante l'azione, oltre che di vigilanza, sensibilizzazione e documentazione del moderno, di scambio delle esperienze svolta da associazioni come DOCOMOMO, a livello nazionale e internazionale.

Sciolto dunque il nodo circa la legittimità di includere nel patrimonio storico anche gli edifici moderni, perplessità che solo dieci/quindici anni fa aveva tormentato gli esperti, oggi mi pare che esistano delle nette risposte alle questioni cruciali della materia a lungo dibattute, come:

In che termini si può interpretare la testimonianza dell'architettura moderna?

Cosa conservare dell'enorme messe di testimonianze?

Nel momento cruciale dell'intervento, del "che fare" a cosa attribuire valore di autenticità: al progetto, all'idea o alla materia, anche se trasfigurata?

Sul piano storiografico in generale l'Italia appare incline a riconoscere come suo patrimonio tutte le inflessioni dell'esperienze del moderno.

Al di là dell'esito stilistico è il significato profondo che accomuna realizzazioni anche apparentemente lontane dal punto di vista linguistico, il dato che interessa investigare e porre in luce.

DOCOMOMO Italia è stata fautrice di questa linea di pensiero nell'ambito del più ampio dibattito in seno all'associazione internazionale. Il gruppo italiano nel suo lavoro sulla Documentazione ha ampliato i confini storiografici e voluto trasmettere una metodologia di approccio alle opere, basata sull'anamnesi approfondita della "cosa".

In tal senso ha partecipato alla redazione del catalogo The Modern Movement in Architecture/ Selections from the DOCOMOMO Registers presentando una selezione di opere che racconta cinquant'anni di storia italiana, dal Lingotto (Fiat Lingotto factory) a Torino del 1916 all'ultimo ampliamento delle Officine ICO (Olivetti ICO factory) di Ivrea del 1962.

II parte

Il restauro del moderno in Italia: 1977-2003

Ma qual è lo stato dell'arte del restauro del moderno?
Cosa emerge oggi dalla prassi dopo circa vent'anni di lavoro sul campo?
Oggi sono certamente più numerosi gli interventi finalizzati alla conservazione e soprattutto vediamo l'avviarsi di iniziative di valorizzazione dell'architettura moderna. Tuttavia dobbiamo ancora dar conto di gravi episodi di disaffezione che si verificano sul patrimonio pubblico e privato.

Dunque se grandi passi sono stati compiuti circa il riconoscimento di valore, nella prassi ancora spinosa rimane la questione sul che fare sul corpo delle opere nel momento dell'intervento.

Sull'antico, e sul costruito, in generale l'Italia si è sempre espressa a favore del mantenimento in essere dell'esistente, interpretando l'operato contemporaneo esclusivamente come mezzo per arrestare gli effetti dello scorrere del tempo e del passaggio dell'uomo. Ed anche sul moderno questo è l'orientamento che almeno in linea teorica emerge in ragione del mantenimento del valore documentale del bene.

Come è noto questo atteggiamento trapela già in uno degli eventi inaugurali della stagione del restauro del moderno: la replica nel '77 del Padiglione dell'Esprit Nouveau. Condotta a Bologna dal gruppo della rivista "Parametro", con l'aiuto di José Oubrerie, l'iniziativa aveva come obiettivo quello di restituire ai posteri un "documento di partenza" del moderno.per legittimare una nuova attività di ricerca e documentazione sull'abitare ispirata ai principi fondativi dell'architettura del padiglione.

In seguito i primi restauri sono stati avviati su opere già da tempo accreditate sul piano storiografico.

Tra queste le realizzazioni di Giuseppe Terragni, tra le prime ad essere vincolate: l'Asilo Sant'Elia restaurato tra il 1982 e il 1987 a seguito di una puntuale indagine storica; successivamente i restauri della soprintendenza ai BB.CC. di Milano sulla Casa del Fascio di Como (nel 1989, e su alcuni edifici residenziali, la Casa Rustici a Milano (nel 1991) e la villa del Floriculture (nel 1992). Interventi questi ultimi parziali che non hanno avviato sul bene una radicale operazione di tutela ma si sono arrestati alla soluzioni di problematiche puntuali di conservazione della fabbrica.

Sempre a carattere conservativo, anzi con un chiaro intento di congelamento dell'esistente, fu l'intervento sulla Stazione di S. Novella a Firenze: una serie di operazioni di pulitura, consolidamento e risarcimento di numerose parti degradate, rivestimenti, pavimentazioni, elementi di arredo e velario della galleria di testa. Il motivo l'accoglimento dei Mondiali di calcio del 1990; in quella stessa occasione molti impianti sportivi furono maldestramente adeguati con gravi e perenni alterazioni alla fisionomia originaria.

Più disposto all'immissione di elementi di adeguamento compatibili all'esistente è stato l'intendimento manifestato in altri restauri su opere di dimensioni più ridotte ma di eguale valore architettonico.

Mi riferisco, ad esempio, al risarcimento della vetrata al piano terra dell'edificio residenziale di Cesare Cattaneo a Cernobbio (nel '88), come al difficile restauro, della fine degli anni Novanta, della slittovia al Lago Nero, opera del Dopoguerra di Carlo Mollino, a lungo in disuso e preda di vandali. Ancora molto più impegnativa è risultata la totale ricostruzione del Padiglione d'Arte Contemporanea (PAC) a Milano (1993-1996), distrutto da un evento dinamitardo nel 1993 e "rifatto" in tre anni dall'autore, Ignazio Gardella, ancora vivente apportando notevoli modifiche dovute soprattutto all'adeguamento impiantistico.

Infine è da ricordare come esperienza esemplare il restauro, di recente concluso (2001), delle Scuole Sanzio di Libera, forse sino ad oggi uno degli interventi più scrupolosi condotto sul moderno. Dopo un attento esame dell'impianto tipologico e delle caratteristiche architettoniche, si è riusciti a rendere nuovamente leggibile, attraverso risarcimenti e nuovi interventi, la qualità originaria dell'opera architettonica.

Ma è dalla metà degli anni novanta anni che hanno preso avvio progetti più complessi, iniziative di salvaguardia che interessano parti urbane ed infrastrutture territoriali, tra cui s'inscrive questa di Ivrea con la nascita del Maam nel settembre del 2001.

Sono questi gli eventi più importanti del momento, e sono anche quelli che danno atto della raggiunta consapevolezza nei confronti del moderno da parte delle Istituzioni, delle amministrazioni e della collettività.

Rilevante è l'ammodernamento che si sta compiendo sulle stazioni ferroviarie, su quelle principali come su quelle medie, dove l'intervento conservativo ha dovuto confrontarsi con la stringente e complessa istanza della trasformazione.

A Roma, nel nodo di Termini, possiamo apprezzare uno dei primi risultati. Invertendo la precedente prassi corrente, qui si è voluta creare, all'interno della società che si è occupata di tale operazione, la Grandi Stazioni spa, una struttura di progettazione in grado di guidare i progetti definitivi dell'insieme secondo una logica unitaria, affidando successivamente i progetti esecutivi a consulenti esterni.

L'intervento ha coinvolto gran parte del manufatto, l'ala dell'anteguerra di Mazzoni, e il Dinosauro, il fabbricato frontale di ingresso realizzato tra il 1945-48. Qui si è mirato a restaurare la spazialità originaria del monumento demolendo le molte superfetazioni.

Inoltre per garantire la riuscita dell'operazione, dal punto di vista urbano e economico, è stata valorizzata la galleria commerciale nell'interrato aprendo al piano dell'atrio quattro discese ed è stato ripristinato a mezz'altezza un mezzanino con nuove funzioni di accoglienza.

Roma ha ritrovato nella sua stazione ferroviaria principale un nuovo spazio d'uso e di scambio. L'aspetto più rilevante è che l'intervento sta veicolando un'operazione urbana di gran respiro: il riscatto dall'incipiente degrado dell'intero quartiere circostante, una parte densamente popolata con una struttura sociale multi-etnica.

Contemporaneo è il piano di rilancio della Mostra d'Oltremare a Napoli, il complesso fieristico progettato nel 1940 da Marcello nella piana di Fuorigrotta.

Si tratta di una vasto programma di riqualificazione di una grande parte di città, un'operazione che s'inscrive nel più ampio progetto di valorizzazione del tessuto urbano moderno del capoluogo partenopeo sancito dalla recente variante di piano regolatore che amplia il perimetro della città storica includendovi anche i quartiere edificati nel Novecento.

Il piano di recupero, avviato nel gennaio del 1999 dalla nuova gestione, la Mostra d'Oltremare spa, una società per azioni a partecipazione pubblica intente sanare il grave degrado generatosi nel dopoguerra a causa della dismissione o all'uso improprio di molte parti , nonché all'incuria del verde.

L'obiettivo è di rilanciare il complesso come grande Parco urbano - sitratta di un'area di70 ettari circa -, come rinnovato sistema di centralità urbana nella zona occidentale di Napoli. Se a tutt'oggi pochi sono gli interventi effettuati - la trasformazione del Teatro Mediterraneo in Centro Congressi; l'apertura di due parchi attrezzati; la ricostruzione, ad opera dello stesso autore, Giulio De Luca, dell'Arena Flegrea, mentre è in via di completamento il restauro del Cubo d'oro curato dalla Soprintendenza - grande è la volontà di riscattare questa situazione.

Tra queste esperienze quella di Ivrea spicca per l'esemplarità della metodologia adottata e dei risultati ottenuti.

Come abbiamo avuto modo di vedere dalla catalogazione alla fondazione del Museo, ai primi interventi di recupero sui tessuti residenziali di Canton Vesco, la città segnata dall'operato di Adriano Olivetti, sembra voler raccogliere a piene mani l'eredità culturale del suo mecenate articolando un ambizioso e duraturo progetto di valorizzazione del patrimonio architettonico, sedimentato in oltre ottant'anni di storia industriale.

Alcune considerazioni finali

Questa sintetica panoramica dimostra che nel nostro Paese qualcosa di profondo è mutato negli ultimi venti anni: il documento di architettura moderna comincia ad essere apprezzato non solo dalla ristretta cerchia degli "intenditori" ma anche la collettività ne riconosce il valore di patrimonio e intende investirci.

C'è da augurarsi che sul piano istituzionale maturino quegli intendimenti già palesati in passato, in cui emergeva l'urgenza di attivarsi in maniera sistematica su questo nostro giovane patrimonio.

Mi pare che in questa direzione si ponga il nuovo disegno di legge sulla "qualità dell'architettura" , varato nello scorso luglio e ora avviato al suo iter parlamentare: nuovamente in questa proposta la "protezione" del patrimonio, anche quello più giovane, costruito negli ultimi cinquant'anni', è uno degli obiettivi trainanti.

A mio avviso è dal punto di vista della tutela "attiva", esercitata mediante il controllo della qualità del progetto e la capacità di selezionare i "lasciti", che ai giovani monumenti potrà essere riconosciuta una specifica quanto riconoscibile identità. La qualcosa consentirà loro di assumere un ruolo decisivo nella riqualificazione di quei contesti ,o porzioni di territorio, che si intende riguadagnare al nostro Paese.


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